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Immagine del redattoreFiorellaRabellino

Abitare ai tempi del coronavirus: voglio un terrazzo

Aggiornamento: 17 mag 2020

Qualche giorno fa, su un gruppo facebook di cui faccio parte, è stata lanciata una domanda che può interessare molti, anzi tutti quelli che in questo periodo fanno parte delle categorie obbligate a *restare a casa*, e che io ho trovato professionalmente di estremo interesse.


Il quesito era:

Qual è il più intollerabile difetto/discomfort che state riscontrando nelle vostre case che risulta essere amplificato o che è emerso come essere una mancanza fondamentale vista la "prolungata" attuale occupazione della stessa?


Occorre precisare che la totalità delle risposte venivano da donne, trattandosi di un gruppo creato con l'intento di costruire una "cultura di condivisione spontanea" tutta al femminile (#socialgnok - #womenigniterelationships). Non so in che misura il genere delle partecipanti possa influire statisticamente, certo sarebbe interessante rilanciare la stessa domanda in un gruppo "misto", ma penso che, in percentuale, si possa dire che rappresenta bene una fetta importante della realtà.


Le risposte sono state oltre 130 (ad oggi) e molto articolate, e mi hanno offerto l'occasione per alcune riflessioni.


In definitiva, più del 50 % delle risposte si concentra su un tema condiviso:

il desiderio di avere uno spazio in cui godere della presenza della natura.

Questo desiderio si articola in una varietà di esigenze, di cui il denominatore comune è che l'elemento verde, la natura, la vegetazione, non sembra mai abbastanza.

Non è quindi solo un bisogno di chi vive in città, lontano dagli spazi naturali della vegetazione e della campagna, per cui è più comprensibile come, in questo momento, diventi essenziale avere a portata di mano qualcosa che ci tenga legati allo spazio esterno. Sembra proprio una necessità più profonda e radicata: il legame con la natura diventa un fattore sostanziale di benessere, anche per chi magari fino a un mese fa, preso dalla frenetica routine lavoro-famiglia-svaghi, non degnava di uno sguardo balconi verdeggianti e vasi fioriti.

Così, chi ha solo una finestra vorrebbe almeno un balconcino, chi ha un balcone vorrebbe un terrazzo, chi ha un terrazzo vorrebbe un giardino, chi ha un giardino vorrebbe un intero bosco in cui passeggiare.

Sono tanti i motivi che ci fanno desiderare, adesso più che mai, una connessione più forte con la natura: il senso del "prendersi cura", simboleggiato dalla coltivazione di una piantina, e dalla soddisfazione di vederla crescere rigogliosa; il desiderio di bellezza, perchè i colori e le forme delle fioriture sono un balsamo per gli occhi e loro tramite anche per le nostre anime recluse in un orizzonte limitato; la sensazione di partecipare al disegno globale della vita, ora che le nostre singole vite sono bloccate e sospese in una bolla di tempo immobile, mentre fuori la natura continua a crescere, a muoversi, a seguire il suo ritmo eterno mentre riconquista gli spazi lasciati liberi dagli umani, e noi non desideriamo altro che fare di nuovo parte di questo "tutto" da cui ci sentiamo dolorosamente separati.


Nella mia storia professionale per diversi anni mi sono occupata, in qualità di assistente ad un corso universitario della Facoltà di Architettura torinese, di "storia dei giardini", affrontando il tema del rapporto tra l'architettura costruita e la costruzione artificiosa della natura, ovvero del giardino, in tutte le sue manifestazioni culturali e nei diversi periodi della storia umana.


Il giardino originario.

Le lezioni iniziavano sempre dal giardino delle origini, talvolta il paradiso terrestre, talvolta le testimonianze più antiche della costruzione di giardini, che risalgono all'Egitto, alla Persia, alle culture Mesopotamiche, all'Islam, alla Cina, a sottolineare quanto sia potente il rapporto uomo-natura in qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi civiltà.

Passando per il Rinascimento italiano, il Barocco francese, il Pittoresco inglese, fino ad arrivare alle interpretazioni più contemporanee, il concetto più affascinante da trasmettere è che la cultura dell'uomo sempre, da sempre, si confronta ed è influenzata dalla natura. Madre benevola o matrigna spietata, la natura è ciò da cui abbiamo origine, e per quanto diventiamo cittadini e urbani, le nostre *radici* rimangono là, in quella natura selvatica in cui si sono mossi i nostri primi passi preistorici, in quella campagna dove quasi tutti i nostri nonni sono nati o hanno vissuto, in quel luogo dei nostri ricordi, personali o genetici, di cui sentiamo il richiamo profondo quanto più siamo obbligati a starne lontani.


E l'architettura?

Come si colloca l'architettura in questo quadro, ed in particolare, ora e adesso, la progettazione dei luoghi in cui dobbiamo vivere?

Anche se Oscar Wilde affermava che "se la natura fosse stata confortevole, l’umanità non avrebbe mai inventato l’architettura" è innegabile - senza scomodare Vitruvio, Plinio o Leon Battista Alberti - che la costruzione architettonica si è sempre confrontata e posta in stretta relazione con la natura, esprimendosi con l'idea di *giardino* in una delle forme artistiche più alte di modellazione dello spazio.


Edificio residenziale progettato dall'arch. Luciano Pia
Torino, il "25 Verde".

Non sono da meno i maggiori architetti contemporanei. La progettazione più attenta, che ha studiato la storia e che pone il centro dell'attenzione sul benessere dell'uomo che abita, non può prescindere dal rapporto tra interno ed esterno, tra casa e natura, tra edificio e paesaggio. L'anelito ecologico che oggi è fortunatamente sempre più diffuso nel sentire umano è parte di questo studio e di questa attenzione.


Ma allora perchè così tante persone si accorgono di colpo che quello che manca di più alla loro casa è proprio questo rapporto con l'esterno e la natura? Perchè ci troviamo ad abitare in città che sono scatole, dormitori, spazi chiusi su loro stessi?

Possiamo additare diverse responsabilità. La necessità di occupare lo spazio in modo intensivo, di aggregare il numero più alto possibile di abitanti, è il risultato di un percorso storico che ha allontanato sempre di più la natura dalle nostre abitudini del vivere: l'impellenza di una difesa militare ha chiuso i nostri borghi medievali in un recinto di alte mura, la rivoluzione industriale ha ammassato nei centri urbani un numero sempre più grande di persone, la speculazione edilizia ha costruito seguendo l'unico criterio del maggiore guadagno con la minima spesa.

Non ultima, tra le cause, anche il *tempo*: quello che ora abbiamo in abbondanza, e abbiamo necessità di occupare, mentre prima le vite di molti erano incalzate da impegni, obblighi, urgenze che non lasciavano nè spazio nè tempo all'attività lenta e paziente della coltivazione e della cura.


La qualità dell'abitare

E' la nostra storia, ed è su questa idea che dobbiamo interrogarci oggi quando parliamo di qualità delle nostre abitazioni.


New York, Paley Park

Possiamo ringraziare le leggi sul paesaggio, l'introduzione degli standard urbanistici e la lungimiranza di molti progettisti se oggi abbiamo parchi pubblici nelle nostre città e terrazzi nelle nostre case, e se per un po' non possiamo fruire dei primi, ecco che i secondi diventano un bisogno primario e l'insegnamento che ne possiamo trarre è per il futuro, sia nel progettare, sia nello scegliere o trasformare la nostra casa.


Dobbiamo ricordare che questo bisogno benchè primario è comunque subordinato a limiti personali e sociali: in un edificio condominiale i terrazzi portano via metri quadri commerciali, spesso sono collocati solo agli ultimi piani, dove problemi di altezza dell'edificio o arretramento dai fronti stradali ha reso conveniente dare quel profilo all'immobile. Nati nella logica della lottizzazione intensiva, in cui ciò che è importante è la superficie "abitabile" che si può vendere un tot al metro quadro, oggi sono diventati gli spazi di lusso, più ambiti e più rari, e in quanto tali non alla portata di tutti.

Negli edifici storici paradossalmente è ancora più difficile trovare una struttura che possa ospitare ampi spazi verdi: palazzi nati come residenze nobiliari, di famiglie che avevano altrove, nella residenza di campagna, lo sfogo di un contatto con la natura, si sono trasformati adattando le loro forme antiche ad un modo completamente diverso di vivere. Non meno delle case da reddito, case "povere" e utilitaristiche in cui la piacevolezza di un balcone rappresentava un inutile spreco in uno spazio da sfruttare al massimo per contenere le persone.


Come si può conciliare oggi questo desiderio "verde" con la realtà oggettiva dei luoghi che possiamo permetterci di abitare?

Con la cultura ecologica, con una domanda consapevole e informata che orienti l'offerta abitativa, con un cambiamento di mentalità che vada oltre la motivazione economica e opportunistica.


In prima battuta, consideriamo ciò che è lo stato dell'arte. L'attività di progettare e costruire oggi, rispetto a 10 o 20 anni fa, si è mossa indiscutibilmente proprio in questa direzione. Che lo faccia per cultura, oppure per rispettare la normativa, chi progetta non può (o non deve) più prescindere da una globalità dell'oggetto costruito che coinvolge anche e più che mai la presenza della natura e l'impatto su di essa.



A Torino, come in altre città d'Italia, da alcuni anni si svolge la manifestazione "Open House", splendida occasione per il pubblico di conoscere realtà costruite di eccellenza, con la possibilità di entrare in esse, guardare, ascoltarne le storie. E' triste pensare che quest'anno sarà impossibile ripetere quell'esperienza, ma possiamo farne tesoro e prenderne ispirazione.

  • Abbiamo realizzazioni come "il 25 verde", il complesso residenziale progettato da Luciano Pia e concepito come un "bosco abitabile".

  • Nella periferia torinese, la ristrutturazione ha trasformato una ex fabbrica di cioccolato, la Tobler, in un condominio raccolto intorno alla corte interna, un giardino e spazio comune di aggregazione tra i vicini.

  • In pieno centro urbano, dietro il mercato di Porta Palazzo, il progetto CoHousing Numero Zero ha dato vita ad una realtà di coabitazione condivisa, basata sul bisogno di vivere in modo semplice e sostenibile, che si organizza intorno ad un piccolo giardino, una terrazza comune e tanti balconi fioriti.

E' possibile, nelle case che già possediamo ed abitiamo, tenere a mente questi modelli ed inventare nuovi spazi che possano soddisfare l'esigenza di benessere legata all'elemento naturale?


Dal punto di vista di chi progetta, è indispensabile studiare le possibilità dei luoghi, adottare opportuni sistemi ed accorgimenti progettuali, proporre le soluzioni più adatte per chi si rivolge a noi, perchè in ogni luogo e in ogni casa sia possibile avere ciò di cui più si sente il bisogno.


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